C’è chi ha speso un patrimonio con le prostitute e chi manda all’aria un
matrimonio perché non può fare a meno di portarsi a letto altre donne,
qualunque donna, in qualsiasi momento. Chi lascia il posto di lavoro per
salire sull’autobus a molestare le passeggere, chi rinuncia alla vita
sociale per dedicare tutto il suo tempo alla pornografia, in dvd o su
Internet. E chi arriva allo stupro o ai rapporti con minorenni. È il
profilo dei sessodipendenti, di chi soffre di sexual addiction. Un
disturbo noto fin dal XIX secolo: fu Richard von Krafft Ebing a
descriverlo nel 1886. E oggi più diffuso di quanto si pensi: “I
dipendenti da sesso sono quasi il 6 per cento della popolazione, in
stragrande maggioranza uomini”,spiega il sessuologo Franco Avenia che
cura insieme alla psicologa Annalisa Pistuddi il ‘Manuale sulla Sexual
Addiction’ in uscita per i tipi di Franco Angeli. Un libro a più voci,
“il primo di questo genere in Italia”, come sottolineano gli autori, per
fare ordine in una materia complessa quanto inquietante. E fornire agli
operatori strumenti adeguati per individuare un fenomeno spesso
sottostimato.
A partire da un identikit dei dipendenti, che nasce da un’indagine promossa dall’Associazione italiana per la ricerca in sessuologia
(Airs): si tratta in genere di maschi adulti in maggioranza single (ma
c’è un’ampia quota di sposati) di cultura medio bassa, equamente
distribuiti sul territorio nazionale. Apparentemente normali? “Spesso i
sex addicted non sono socialmente riconoscibili come possono esserlo a
volte i dipendenti da alcol o altre sostanze, magari non hanno ancora
manifestato problemi evidenti di devianza o non hanno avuto problemi con
la giustizia”, spiega Pistuddi: “Magari arrivano da noi manifestando
disturbi della sfera sessuale, per esempio una disfunzione erettile.
Precisando che non si verifica in rapporti con prostitute o con partner
occasionali con cui non è necessario instaurare una relazione
sentimentale. E solo in un secondo tempo emerge dal racconto la
dipendenza da sesso”. Di solito a chiedere aiuto sono uomini, “perché
sono più numerosi”, precisa la psicologa, “o anche perché le donne
riescono a convivere con il disturbo senza compromettere la loro
quotidianità”.
“I pazienti vanno dal sessuologo quando capiscono che la dipendenza
non è più gestibile, che gli ha sconvolto la vita, compromettendo le
relazioni personali e il lavoro, danneggiandoli economicamente”, spiega
Avenia. Il problema sta lì: “La dipendenza da sesso non ha niente a che
vedere con un sano appetito sessuale, è un impulso irrefrenabile che
condiziona la vita e genera sofferenza se non è soddisfatto”, prosegue
il sessuologo: “Krafft Ebing oltre un secolo fa sottolinea come il
desiderio sessuale diventi il centro della vita del soggetto
dipendente”. Per anni, però, la psichiatria ha accantonato l’argomento,
fino alla fine degli anni ’80 quando è tornato alla ribalta con la
nascita negli Usa del National Council of Sexual Addiction. “Ci sono
diversi fattori che hanno contribuito a fare emergere il fenomeno”,
prosegue Avenia: “Viviamo in una società in cui il sesso ha un ruolo
sempre più importante, sia a livello personale che di comunicazione, e
c’è una forte pressione sociale che spinge le persone a identificarsi
con il proprio comportamento sessuale”.
Si tratta di una malattia del nostro tempo, come la dipendenza da
Internet. Un fenomeno complesso che può sfuggire a una precisa
collocazione: alcuni ricercatori infatti parlano di vera e propria
dipendenza; e così la sexual addiction potrebbe essere prossimamente
classificata nel ‘Dsm’, il manuale che cataloga tutti i disturbi
psichici. Altri mettono in risalto l’aspetto compulsivo. In ogni caso i
sintomi di pericolo sono evidenti: la pervasività dell’impulso,
l’impossibilità di controllarlo “e un ingiustificato disinteresse per le
conseguenze, che può configurarsi come una alterazione cognitiva che
porta a sottostimare problemi come le malattie sessualmente
trasmissibili o le gravidanze, per citarne solo due”, precisa uno degli
autori del manuale, lo psichiatra Ezio Manzato, componente della
Commissione nazionale sulle dipendenze.
Cos’è che trasforma il sesso in una vera droga? Il parallelo è in
qualche modo improprio: la droga è una sostanza estranea, il sesso un
impulso fisiologico. “Forse l’analogia più corretta è quella con i
disturbi del comportamento alimentare, come la bulimia, che non caso
spesso si accompagna a una sregolatezza nel comportamento sessuale”,
spiega Avenia. “La sexual addiction è una mancanza di controllo degli
impulsi, che vediamo spesso manifestarsi insieme ad altre dipendenze, o
anche a disturbi di ansia o dell’umore”, precisa Manzato. Per Martin P.
Kafka della Harvard Medical School si tratterebbe invece di una
disregolazione del desiderio sessuale, anomala deriva di quello che nei
sani è un desiderio fisiologico. Causata da quella che Kafka ha
ribattezzato l’ipotesi delle monoamine, per descrivere il ruolo giocato
da queste sostanze – dopamina, adrenalina
e serotonina – nel regolare impulsi e desideri. “Il segno distintivo di
questa disinibizione, quello che le dà lo status di una condizione
clinica”, sostiene lo psichiatra americano, “è la compromissione della
volontà, la quantità di tempo sprecata in impulsi, attività e fantasie
sessuali non relazionali e le conseguenze personali e psico-sociali
sfavorevoli che l’accompagnano”. Si tratta di un disturbo che ha basi
neurobiologiche, evidenziate sperimentalmente da Kafka in un modello
animale: se si somministra a dei topolini castrati la
paraclorofenilalanina, una sostanza che elimina la serotonina dal
sistema nervoso centrale, questi sono portati a tentare compulsivamente
l’accoppiamento. “L’orgasmo è una cascata di neurotrasmettitori
(serotonina) e neuromodulatori (endorfine) che serve a mantenere
l’equilibrio neurovegetativo, ristabilendo buonumore e limitando il
dolore”, ricorda uno degli autori del manuale, lo psichiatra Fernando
Liggio.
Il sesso non è l’unica fonte di queste sostanze, prodotte anche
durante il sonno profondo e le crisi epilettiche. Fin qui però siamo
nella fisiologia. “Il problema si pone con quanti perdono i controlli
inibitori, probabilmente a causa di una carenza del neurotrasmettitore
Gaba”, spiega Liggio. È in soggetti come questi che l’aumento di
endorfine provoca un craving simile alla droga, in questo caso una droga
endogena, generando un’assuefazione per cui la necessità di queste
sostanze non si esaurisce. “Il nostro cervello è come una cabina di
regia in cui una schiera di monitor consente di tenere sotto controllo e
mandare in onda alternativamente diversi canali”, spiega Liggio:
“Quando si verificano queste alterazioni, è come se il regista venisse a
mancare e il monitor si bloccasse su un unico canale, quello del
sesso”. Che per gli esseri umani, anche rispetto ad altre specie, ha
comunque un’importanza particolare. “E questo per una precisa ragione
evolutiva”, sostiene Liggio: “Siamo gli unici a renderci conto di quanto
sia impegnativo, e in epoche lontane anche pericoloso, avere figli. Per
garantire la sopravvivenza della specie si sono selezionati individui
particolarmente ricchi di corpuscoli di Krause, le terminazioni nervose
che aumentano la percezione del piacere”.
Il che non esclude che la sexual addiction abbia una componente
culturale. “Il confine di ciò che è normale si sposta, atti sessuali
oggi accettati da tutti fino a vent’anni fa erano catalogati nel ‘Dsm
III’ come perversioni”, ricorda Avenia: “Siamo passati da una cultura
sessuofobica a una sessuofila”. Anche se il disturbo può presentarsi a
livelli diversi di gravità, e in forme diverse, il rischio è comunque
presente. “Il problema nasce dalla tendenza di questi soggetti a
minimizzare le possibili conseguenze delle loro azioni”, spiega Avenia.
Nei casi meno gravi si tratta di rapporti non protetti, di avances
pesanti. O di comportamenti che possono portare grave imbarazzo:
“Ricordo un uomo che provava un irresistibile impulso a mostrarsi nudo
dalla finestra, dovunque fosse”, precisa il sessuologo.
La ricerca ossessiva di un partner sessuale può portare anche a
comportamenti rischiosi o illegali, a molestie come il frotteurismo (lo
strofinamento dei genitali su una persona non consenziente), perfino
allo stupro. E nei casi più gravi si associa a parafilie, il termine che
oggi definisce quelle che un tempo si chiamavano perversioni, come la
pedofilia. Studi americani mostrano che il 55 per cento di soggetti con
dipendenza da sesso commette con molta frequenza reati a sfondo
sessuale. “Anche un’indagine tra i detenuti tossicodipendenti del
carcere di Opera a Milano indica una dipendenza da sesso doppia rispetto
alla media nazionale”, rivela Pistuddi: “Il dato interessante, oltre
all’intreccio fra dipendenze (sostanze e sesso), è in alcuni casi anche
la connessione con la pericolosità sociale e la marcata esposizione al
rischio di queste persone”. Si tratta comunque di una patologia
multifattoriale, “che ha probabilmente alla base una vulnerabilità
neurobiologica, cui si aggiungono esperienze vissute – per esempio avere
subito abusi sessuali nell’infanzia – e fattori ambientali”, spiega
Manzato. Anche il partner può avere un ruolo importante nel contenere o
nello scatenare il disturbo: “È chiaro che se chi soffre di sexual
addiction ha un partner con un atteggiamento di rifiuto nei confronti
del sesso, il problema può acuirsi, così come quando entrambi i partner
hanno problemi di dipendenza”.
Per questo a volte si punta su una terapia di coppia, oppure si
trattano indipendentemente entrambe i partner. “Le terapie di coppia si
sono rivelate efficaci, così come la psicoterapia individuale a
orientamento psicoanalitico, che prende in considerazione non solo il
sintomo della dipendenza, ma anche la struttura di personalità e i
disturbi correlati”, dice Pistuddi. Spesso però è necessario integrare
la terapia con un supporto farmacologico. In molti casi si usano gli
Ssri, antidepressivi come la fluoxetina, ma anche farmaci antipsicotici.
“Il rischio è che i pazienti si vedano guariti una volta contenuti i
sintomi”, aggiunge Manzato. Ma in altre dipendenze con caratteristiche
simili, come i disturbi dell’alimentazione, le tecniche di neuroimaging
continuano a mostrare un’alterazione dell’attività cerebrale anche dopo
un trattamento concluso con successo. In altre parole, una pillola non
basta, “ritrovare un equilibrio si può”, conclude lo psichiatra: “Ma i
tempi sono inevitabilmente lunghi”.
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